CLOUD NOTHINGS - HERE AND NOWHERE ELSE

Carpark Records, 2014

Voto:
8/10








Appena due anni fa i Cloud Nothings si affidavano al genio creativo di Steve Albini per produrre Attack On Memory, un disco che avrebbe rappresentato la loro definitiva consacrazione, allontanando quello spettro di mediocrità compositiva che accomuna gran parte dei gruppetti skater-punk degli anni zero con brani del calibro di Stay Useless, No Future/No Past e soprattutto Wasted Days, un gioiello sonoro che da solo vale un disco intero. Gli innegabili e strameritati elogi che riscossero, focalizzarono inevitabilmente l’attenzione su ciò che la band di Cleveland sarebbe riuscita a proporre al suo ritorno in sala di registrazione. Stavolta, a sostituire Albini in cabina di regia, c’è John Congleton che adotta un approccio diverso, rendendo Here And Nowhere Else più compatto, frenetico e rabbioso rispetto al suo predecessore.

In questo contesto prendono il via il fragoroso post-hardcore di Now Hear In e le urla angoscianti di Baldi che continuano nello stesso energico modo anche nella martellante e furiosa Quieter Today. Tiratissime anche le successive Psychic Trauma, dove si riscoprono piacevoli echi dei primi Dinosaur Jr. grazie alle improvvise esplosioni amplificate di chitarra, e il punk melodico di No Thoughts che ha il compito di mantenere viva l’intensità del percorso intrapreso. Poi arrivano sette minuti destabilizzanti, fatti di riffing serrati e distorti, che possiedono selvaggiamente Pattern Walks; un pezzo ipnotico in cui la voce di Baldi sembra essere intrappolata in una cassa di risonanza. I’m Not Part Of Me chiude un set acceleratissimo e sprigiona tutti gli elementi che costringono ad innumerevoli ascolti, avvalendosi di una contagiosa essenza da hit stagionale che profuma di spensieratezza giovanile.

In Here And Nowhere Else il vero cambiamento è l’impostazione vocale di Baldi che raggiunge sfumature più melodiose e raffinate, trasportando ogni canzone ad essere eccitantemente vitale, mentre il drumming esplosivo di Jason Gerycz fa il resto, trascinando il set a profondità ritmiche maniacali.




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